Martha Nasibù con la madre Woizero Atzede Babitcheff e la sorella Amaretch |
Il volume, giunto ormai alla sua terza edizione, è diviso in due parti fondamentali dall’evento che più ha scosso l’infanzia della scrittrice, la morte del genitore, una delle più alte personalità dell’Impero etiope.
La prima _ collocabile cronologicamente tra la metà degli anni Venti e l’invasione italiana dell’Etiopia _ è volta a ripercorrere la vita del degiac Nasibù, mettendone in risalto la dimensione più intima e domestica di capofamiglia, rispetto a quella nota _ politica e rappresentativa _ di alto dignitario feudale. Ogni capitolo di questa parte racchiude dei veri e propri affreschi di un mondo dal sapore lontano descritto con dovizia di particolari: dalle tradizioni ai banchetti, dal matrimonio dei genitori alle cerimonie pubbliche, ogni dettaglio è riportato alla luce in modo attento e coinvolgente, permettendo così ai lettori non di osservare la vetrina impolverata di un vecchio museo, bensì di muoversi all’interno di una realtà che pare riprendere vita, dopo essere stata soggetta all’oblio del tempo per tanti anni. Su tutti spicca nettamente lo struggente ricordo del degiac, uomo saggio e coraggioso per l’Impero e padre severo e affettuoso per i figli, la cui sorte è ricostruita dall’autrice attraverso le reminiscenze personali di bambina, le testimonianze di parenti e amici, i preziosi documenti d’archivio.
Martha Nasibù (in basso a destra) con il padre Degiac Nasibù Zamanuel, la sorella Amaretch ed i fratelli Berhanu e Theodros |
pacificazione del territorio, prima di essere utilizzata in Etiopia per piegare e stroncare qualsiasi forma di resistenza dei notabili di etnia amhara; è in questo contesto che si collocano le vicende dei Nasibù.
Sebbene provvidenzialmente iniziato prima dell’attentato al viceré Graziani (febbraio 1937), cui seguì la messa a ferro e fuoco di Addis Abeba e la sistematica deportazione di diverse centinaia di membri della precedente aristocrazia negussita, l’esilio coatto della famiglia della scrittrice non è meno penoso e difficoltoso.
Martha (a destra), Berhanu e Amaretch, sul balcone in Via Caracciolo |
Molti sono gli avvenimenti riferiti a quegli anni di continui illogici spostamenti, alcuni piacevoli (bellissimo è l’episodio della scoperta della neve, a tratti poetico), altri difficili, legati all’entrata in guerra dell’Italia, determinante un significativo peggioramento delle condizioni di vita della famiglia (il cibo drasticamente razionato): è forte l’esigenza dell’autrice di fissare ognuno di essi, di fare della memoria un’occasione di riflessione anziché di rimprovero, poiché tutto si può dire, tranne che dalle sue parole trapelino sentimenti di odio e rancore. I ricordi così diventano importanti pagine di storia, e vanno a definire meglio alcuni lati del colonialismo italiano di cui, fino a qualche decennio fa, si sapeva pochissimo: il fenomeno repressivo della deportazione in epoca fascista trova qui una testimonianza diretta e significativa, non va dimenticato.
«Memorie di una principessa etiope» è dunque un libro di grande sensibilità e dignità, qualsiasi aspetto del testo si voglia far prevalere: dalla dimensione storica a quella personale, Martha Nasibù sa muoversi in punta di piedi, scrivendo pagine piene di sentimento e di valore
documentario.
Fortemente consigliato.
Manila Maionchi