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Sunday, July 13, 2014

Recensione di Manila Maionchi

Martha Nasibù con la
madre Woizero Atzede Babitcheff
e la sorella Amaretch
Un affascinante quadro di una famiglia speciale, le cui vicende si intrecciano con alcuni degli eventi più critici del Novecento. Una puntuale testimonianza sul mondo dorato dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta, insieme al commovente ritratto di un padre importante visto attraverso gli occhi della figlia più piccola. Il diario di un lungo esilio forzato lontano dalla propria patria e dei continui spostamenti che ne seguono. Tutto questo è «Memorie di una principessa etiope» di Martha Nasibù: un libro che si propone di essere, riuscendoci, una pagina di storia e un racconto biografico - familiare che si arricchisce dei ricordi dell’infanzia dell’autrice.

Il volume, giunto ormai alla sua terza edizione, è diviso in due parti fondamentali dall’evento che più ha scosso l’infanzia della scrittrice, la morte del genitore, una delle più alte personalità dell’Impero etiope.

La prima _ collocabile cronologicamente tra la metà degli anni Venti e l’invasione italiana dell’Etiopia _ è volta a ripercorrere la vita del degiac Nasibù, mettendone in risalto la dimensione più intima e domestica di capofamiglia, rispetto a quella nota _ politica e rappresentativa _ di alto dignitario feudale. Ogni capitolo di questa parte racchiude dei veri e propri affreschi di un mondo dal sapore lontano descritto con dovizia di particolari: dalle tradizioni ai banchetti, dal matrimonio dei genitori alle cerimonie pubbliche, ogni dettaglio è riportato alla luce in modo attento e coinvolgente, permettendo così ai lettori non di osservare la vetrina impolverata di un vecchio museo, bensì di muoversi all’interno di una realtà che pare riprendere vita, dopo essere stata soggetta all’oblio del tempo per tanti anni. Su tutti spicca nettamente lo struggente ricordo del degiac, uomo saggio e coraggioso per l’Impero e padre severo e affettuoso per i figli, la cui sorte è ricostruita dall’autrice attraverso le reminiscenze personali di bambina, le testimonianze di parenti e amici, i preziosi documenti d’archivio.

Martha Nasibù (in basso a destra) con il padre
Degiac Nasibù Zamanuel, la sorella Amaretch
ed i fratelli Berhanu e Theodros
La seconda parte, invece, comprende gli otto anni, dalla fine del 1936 all’agosto 1944, nei quali la famiglia Nasibù, ormai orfana del capo etiope, è costretta all’allontanamento coatto dalla terra natale. La politica coloniale italiana aveva infatti ripreso nella regione abissina ciò che in precedenza era già stato attuato negli altri domini africani: la deportazione in Italia dei sudditi d’oltremare. Nata come politica intimidatoria mirante a suscitare nelle popolazioni autoctone il terrore di essere sradicate dalla terra d'origine _ era presente solo in forma episodica in Eritrea negli anni attorno al 1890 _ essa cominciò poi ad essere ampiamente impiegata in Libia come pratica repressiva per le manifestazioni più gravi di dissenso, nelle cosiddette operazioni di
pacificazione del territorio, prima di essere utilizzata in Etiopia per piegare e stroncare qualsiasi forma di resistenza dei notabili di etnia amhara; è in questo contesto che si collocano le vicende dei Nasibù.



Sebbene provvidenzialmente iniziato prima dell’attentato al viceré Graziani (febbraio 1937), cui seguì la messa a ferro e fuoco di Addis Abeba e la sistematica deportazione di diverse centinaia di membri della precedente aristocrazia negussita, l’esilio coatto della famiglia della scrittrice non è meno penoso e difficoltoso.

Martha (a destra), Berhanu e
Amaretch, sul balcone
in Via Caracciolo
La sua penna, tuttavia, ce lo restituisce con la grazia e la dolcezza che solo le rievocazioni dell’infanzia possono avere. Il viaggio via mare verso Napoli riporta i colori e le impressioni fissatesi indelebilmente nella memoria di bambina, di cui sono pervasi i brani dedicati alla città, alla casa di via Caracciolo, alla scuola ed ai nuovi compagni, ai fatti rammentati direttamente o ricostruiti attraverso i racconti dei familiari, ed al mondo nuovo che ancora appare quasi fatato, pieno di novità ed esperienze che sono in grado di tenere a distanza la nostalgia per l’Etiopia. La città partenopea sarà infatti descritta in modo molto diverso _ anche se mai privo di speranza _ più tardi, dopo l’episodio di Zliten (marzo 1937), l’oasi a trecento chilometri da Tripoli dove i Nasibù sarebbero stati trasportati senza preavviso ed abbandonati a loro stessi: in seguito al menzionato attentato, un Graziani più che mai ossessionato dalla possibilità di eventuali congiure ordite nei suoi confronti aveva avviato la citata politica delle deportazioni, a cui sicuramente si congiunge questa vicenda. Il terrore da allora diviene uno scomodo compagno di viaggio, e non è sufficiente essere scampati ad una morte prevedibile nel deserto per dimenticare, non bastano le nuove destinazione coatte, i meravigliosi paesaggi delle Dolomiti, o la città di Firenze e la campagna adiacente, o l’isola di Rodi: si tratta pur sempre di un confino senza fine, di una sorta di turismo forzato, di sorveglianza più o meno stretta; tutto è visto con sospetto, con l’angoscia di trovare un’altra Zliten dietro l’angolo.

Molti sono gli avvenimenti riferiti a quegli anni di continui illogici spostamenti, alcuni piacevoli (bellissimo è l’episodio della scoperta della neve, a tratti poetico), altri difficili, legati all’entrata in guerra dell’Italia, determinante un significativo peggioramento delle condizioni di vita della famiglia (il cibo drasticamente razionato): è forte l’esigenza dell’autrice di fissare ognuno di essi, di fare della memoria un’occasione di riflessione anziché di rimprovero, poiché tutto si può dire, tranne che dalle sue parole trapelino sentimenti di odio e rancore. I ricordi così diventano importanti pagine di storia, e vanno a definire meglio alcuni lati del colonialismo italiano di cui, fino a qualche decennio fa, si sapeva pochissimo: il fenomeno repressivo della deportazione in epoca fascista trova qui una testimonianza diretta e significativa, non va dimenticato.

«Memorie di una principessa etiope» è dunque un libro di grande sensibilità e dignità, qualsiasi aspetto del testo si voglia far prevalere: dalla dimensione storica a quella personale, Martha Nasibù sa muoversi in punta di piedi, scrivendo pagine piene di sentimento e di valore
documentario.

Fortemente consigliato.
Manila Maionchi

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