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Sunday, July 13, 2014


La terza edizione di "Memorie di una principessa etiope" è ora disponibile su Amazon.it
Ringrazio di cuore tutti i  miei lettori per la loro fedeltà ! 


The 3rd edition of "Memorie di una principessa etiope" is now available on Amazon.it

I warmly thank all my readers for their loyalty ! 

Synopsis (English below)

Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il Ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Circondato da un parco di cinquantamila metri, con alberi di alto fusto e piante ornamentali fatte giungere da ogni parte del mondo, il Ghebì è composto da un’infinità di camere, elegantemente arredate con mobili in stile Luigi XVI e Chippendale, porcellane di Sèvre, immensi arazzi di Beauvais. Ottanta maggiordomi, domestici, cuochi e giardinieri provvedono alla cura della casa, sotto lo sguardo vigile del degiac Nasibù, bello come un dio con i suoi 185 centimetri di statura, il fisico da atleta, il volto attraente e sereno, le sgargianti divise da generale. 

Nella vita del degiac, tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell’ippodromo di Janehoj-meda alla presenza del reggente, ras Tafari Maconnen, a come l’ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescia, dove il santo eremita Abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli.

Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l’Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra. Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua civiltà, quell’antica civiltà coptortodossa che fa dell’Etiopia una terra cristiana nel cuore dell’Africa. Le forze sono però troppo impari, e il conflitto segna la fine dell’Impero d’Etiopia e dello splendore dei Nasibù.

Il 21 giugno del 1936, è arrestato Ivan Babitcheff, il suocero di Nasibù. Il 19 ottobre, il degiac si spegne in una clinica di Davos. Nei mesi successivi tutti i Nasibù sono costretti all’esilio.

A più di sessant’anni dagli avvenimenti,Martha Nasibù, figlia del degiac Nasibù, racconta l’incredibile vicenda della sua famiglia condotta in Italia sul finire del 1936 e mantenuta in cattività sino all’agosto del 1944. Otto anni di esilio nei luoghi di «villeggiatura» di Mussolini. Otto anni di esilio per la sola colpa di essere moglie e figli del degiac Nasibù Zamanuel, che si era comportato in guerra con estrema correttezza, non certo ricambiata dal «viceré» Rodolfo Graziani.
Preziosa testimonianza storica, il libro illumina il mondo dell’aristocrazia etopica «in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità»

Angelo Del Boca
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In the beginning of the 1930’s, the sumptuous palace (Guebi) of the noble Nassibou Zamanuel stood in the centre of the Ethiopian capital, Addis Ababa. It was surrounded by a fifty-thousand square meter park, adorned with tall trees and ornamental plants imported from all over the world. The Guebi consisted of dozens of rooms elegantly furnished with Louis XVI and Chippendale-style furniture, Sèvres china and immense tapestries from Beauvais. Some eighty household staff, butlers, domestics, cooks and gardeners were assigned to the running of the palace, working under the watchful eye of Dejazmatch Nassibou, a divinely handsome man - over six feet tall, with attractive, serene features and an athletic figure clad in a dazzling general’s uniform.

In the life of the Dejatch, all seemed remarkable and idyllic as in a fairy-tale: from the time he conquered the heart of the young Atzede Mariam Babitcheff, following a breath-taking race at the Imperial Race Course in the presence of the Regent, Ras Tafari Makonnen; to the time he took her on a pilgrimage to the top of Mount Menagesha, where the hermit-saint, Wolde Mariam, foretold the birth of five children to the bride.

On October day in 1935, however, the lovely fairy tale came to an abrupt end. By order of Benito Mussolini, the Italian forces began the invasion of Ethiopia from North to South, without a declaration of war. Dejatch Nassibou fought with valour to defend his culture, the ancient Coptic-orthodox civilization which made of Ethiopia a Christian land in the heart of Africa. The forces however were far too disparate, and the conflict would spell the end of the Ethiopian Empire and of the splendour of the Nassibous.

On 21 June 1936, Ivan Babitcheff, father-in-law of Dejatch Nassibou, was arrested. On 19 October, the Dejatch dies in a clinic in Davos, Switzerland. In the months that follow, all the Nassibou family are forced into exile.

More than sixty years after these events, Martha Nassibou, daughter of the Dejazmatch, tells the tale of the incredible journey of her family, exiled in Italy from the end of 1936 until August 1944. Eight years of exile in the “vacation resorts” of Mussolini, for no fault other than being the wife and children of Dejatch Nassibou Zamanuel, who had conducted himself with extreme correctness in war, an attitude certainly not reciprocated by Viceroy Rodolfo Graziani.

A valuable historic testimony, the book sheds light on the world of that Ethiopian aristocracy, “juggling between the wish to preserve their feudal heritage and a powerful longing for modernity”.

Angelo Del Boca

Recensione di Manila Maionchi

Martha Nasibù con la
madre Woizero Atzede Babitcheff
e la sorella Amaretch
Un affascinante quadro di una famiglia speciale, le cui vicende si intrecciano con alcuni degli eventi più critici del Novecento. Una puntuale testimonianza sul mondo dorato dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta, insieme al commovente ritratto di un padre importante visto attraverso gli occhi della figlia più piccola. Il diario di un lungo esilio forzato lontano dalla propria patria e dei continui spostamenti che ne seguono. Tutto questo è «Memorie di una principessa etiope» di Martha Nasibù: un libro che si propone di essere, riuscendoci, una pagina di storia e un racconto biografico - familiare che si arricchisce dei ricordi dell’infanzia dell’autrice.

Il volume, giunto ormai alla sua terza edizione, è diviso in due parti fondamentali dall’evento che più ha scosso l’infanzia della scrittrice, la morte del genitore, una delle più alte personalità dell’Impero etiope.

La prima _ collocabile cronologicamente tra la metà degli anni Venti e l’invasione italiana dell’Etiopia _ è volta a ripercorrere la vita del degiac Nasibù, mettendone in risalto la dimensione più intima e domestica di capofamiglia, rispetto a quella nota _ politica e rappresentativa _ di alto dignitario feudale. Ogni capitolo di questa parte racchiude dei veri e propri affreschi di un mondo dal sapore lontano descritto con dovizia di particolari: dalle tradizioni ai banchetti, dal matrimonio dei genitori alle cerimonie pubbliche, ogni dettaglio è riportato alla luce in modo attento e coinvolgente, permettendo così ai lettori non di osservare la vetrina impolverata di un vecchio museo, bensì di muoversi all’interno di una realtà che pare riprendere vita, dopo essere stata soggetta all’oblio del tempo per tanti anni. Su tutti spicca nettamente lo struggente ricordo del degiac, uomo saggio e coraggioso per l’Impero e padre severo e affettuoso per i figli, la cui sorte è ricostruita dall’autrice attraverso le reminiscenze personali di bambina, le testimonianze di parenti e amici, i preziosi documenti d’archivio.

Martha Nasibù (in basso a destra) con il padre
Degiac Nasibù Zamanuel, la sorella Amaretch
ed i fratelli Berhanu e Theodros
La seconda parte, invece, comprende gli otto anni, dalla fine del 1936 all’agosto 1944, nei quali la famiglia Nasibù, ormai orfana del capo etiope, è costretta all’allontanamento coatto dalla terra natale. La politica coloniale italiana aveva infatti ripreso nella regione abissina ciò che in precedenza era già stato attuato negli altri domini africani: la deportazione in Italia dei sudditi d’oltremare. Nata come politica intimidatoria mirante a suscitare nelle popolazioni autoctone il terrore di essere sradicate dalla terra d'origine _ era presente solo in forma episodica in Eritrea negli anni attorno al 1890 _ essa cominciò poi ad essere ampiamente impiegata in Libia come pratica repressiva per le manifestazioni più gravi di dissenso, nelle cosiddette operazioni di
pacificazione del territorio, prima di essere utilizzata in Etiopia per piegare e stroncare qualsiasi forma di resistenza dei notabili di etnia amhara; è in questo contesto che si collocano le vicende dei Nasibù.



Sebbene provvidenzialmente iniziato prima dell’attentato al viceré Graziani (febbraio 1937), cui seguì la messa a ferro e fuoco di Addis Abeba e la sistematica deportazione di diverse centinaia di membri della precedente aristocrazia negussita, l’esilio coatto della famiglia della scrittrice non è meno penoso e difficoltoso.

Martha (a destra), Berhanu e
Amaretch, sul balcone
in Via Caracciolo
La sua penna, tuttavia, ce lo restituisce con la grazia e la dolcezza che solo le rievocazioni dell’infanzia possono avere. Il viaggio via mare verso Napoli riporta i colori e le impressioni fissatesi indelebilmente nella memoria di bambina, di cui sono pervasi i brani dedicati alla città, alla casa di via Caracciolo, alla scuola ed ai nuovi compagni, ai fatti rammentati direttamente o ricostruiti attraverso i racconti dei familiari, ed al mondo nuovo che ancora appare quasi fatato, pieno di novità ed esperienze che sono in grado di tenere a distanza la nostalgia per l’Etiopia. La città partenopea sarà infatti descritta in modo molto diverso _ anche se mai privo di speranza _ più tardi, dopo l’episodio di Zliten (marzo 1937), l’oasi a trecento chilometri da Tripoli dove i Nasibù sarebbero stati trasportati senza preavviso ed abbandonati a loro stessi: in seguito al menzionato attentato, un Graziani più che mai ossessionato dalla possibilità di eventuali congiure ordite nei suoi confronti aveva avviato la citata politica delle deportazioni, a cui sicuramente si congiunge questa vicenda. Il terrore da allora diviene uno scomodo compagno di viaggio, e non è sufficiente essere scampati ad una morte prevedibile nel deserto per dimenticare, non bastano le nuove destinazione coatte, i meravigliosi paesaggi delle Dolomiti, o la città di Firenze e la campagna adiacente, o l’isola di Rodi: si tratta pur sempre di un confino senza fine, di una sorta di turismo forzato, di sorveglianza più o meno stretta; tutto è visto con sospetto, con l’angoscia di trovare un’altra Zliten dietro l’angolo.

Molti sono gli avvenimenti riferiti a quegli anni di continui illogici spostamenti, alcuni piacevoli (bellissimo è l’episodio della scoperta della neve, a tratti poetico), altri difficili, legati all’entrata in guerra dell’Italia, determinante un significativo peggioramento delle condizioni di vita della famiglia (il cibo drasticamente razionato): è forte l’esigenza dell’autrice di fissare ognuno di essi, di fare della memoria un’occasione di riflessione anziché di rimprovero, poiché tutto si può dire, tranne che dalle sue parole trapelino sentimenti di odio e rancore. I ricordi così diventano importanti pagine di storia, e vanno a definire meglio alcuni lati del colonialismo italiano di cui, fino a qualche decennio fa, si sapeva pochissimo: il fenomeno repressivo della deportazione in epoca fascista trova qui una testimonianza diretta e significativa, non va dimenticato.

«Memorie di una principessa etiope» è dunque un libro di grande sensibilità e dignità, qualsiasi aspetto del testo si voglia far prevalere: dalla dimensione storica a quella personale, Martha Nasibù sa muoversi in punta di piedi, scrivendo pagine piene di sentimento e di valore
documentario.

Fortemente consigliato.
Manila Maionchi

Thursday, July 10, 2014

Recensione e synopsis dello storico Angelo del Boca

Un libro meraviglioso che ha il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta.

Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il Ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Circondato da un parco di cinquantamila metri, con alberi di alto fusto e piante ornamentali fatte giungere da ogni parte del mondo, il Ghebì è composto da un’infinità di camere, elegantemente arredate con mobili in stile Luigi XVI e Chippendale, porcellane di Sèvre, immensi arazzi di Beauvais. Ottanta maggiordomi, domestici, cuochi e giardinieri provvedono alla cura della casa, sotto lo sguardo vigile del degiac Nasibù, bello come un dio con i suoi 185 centimetri di statura, il fisico da atleta, il volto attraente e sereno, le sgargianti divise da generale.

Nella vita del degiac, tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell’ippodromo di Janehoy-meda alla presenza del reggente, ras Tafari Maconnen, a come l’ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescia, dove il santo eremita Abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli.

Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l’Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua civiltà, quell’antica civiltà coptortodossa che fa dell’Etiopia una terra cristiana nel cuore dell’Africa. Le forze sono però troppo impari, e il conflitto segna la fine dell’Impero d’Etiopia e dello splendore dei Nasibù.

Il 21 giugno del 1936, è arrestato Ivan Babitcheff, il suocero di Nasibù. Il 19 ottobre, il degiac si spegne in una clinica di Davos. Nei mesi successivi tutti i Nasibù sono costretti all’esilio.

A più di sessant’anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac Nasibù, racconta l’incredibile vicenda della sua famiglia condotta in Italia sul finire del 1936 e mantenuta in cattività sino all’agosto del 1944. Otto anni di esilio nei luoghi di «villeggiatura» di Mussolini. Otto anni di esilio per la sola colpa di essere moglie e figli del degiac Nasibù Zamanuel, che si era comportato in guerra con estrema correttezza, non certo ricambiata dal «viceré» Rodolfo Graziani. Preziosa testimonianza storica, il libro illumina il mondo dell’aristocrazia etopica «in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità» 


Angelo Del Boca

Tuesday, July 08, 2014

Recensione di Susanna Ferri

Adey Abeba 1994, di Martha Nassibou
L’insuperabile soave talento di scrittrice  della Principessa Martha Nassibou  è espresso con delicatezza nel suo   il bellissimo libro “Memorie di una principessa etiope”

Ogni pagina è un prezioso scrigno dal quale trarre perle di storia, di saggezza, di grandezza d’animo.
Pur trattando  eventi  storici dolorosi per il grande Paese di origine,  l’Etiopia,  e pur essendo stata toccata personalmente dall’inconsolabile lutto per la perdita del valoroso padre  degiac Nassibou Zamanuel, a causa delle fistole ai polmoni procurate dal letale  gas iprite,  utilizzato  dai comandanti   italiani nell’aggressione, e la perdita del fratello Keflè, nelle memorie della Principessa etiope Martha,  vi è la totale assenza nei protagonisti   dell’acrimonia per il nemico aggressore. Non una traccia di invettive, rivendicazioni  o vendette indirizzate all’ingiusto nemico.

Una tenace profonda teologia è ben descritta nella figura della madre Atzede Mariam Babitcheff che con la sua fede ed i rosari recitati ha salvaguardato la vita dei suoi piccoli principi profughi.  Il  libro è una piacevole immersione nella storia, nel paesaggio e nei profumi africani. Coloro che hanno  avuto la fortuna di nascere o  vivere nel  Corno d’Africa, leggendo il libro,  riassaporeranno i profumi della savana, l’odore speziato dello zicnì , del wot così ben descritti e gusteranno  il leggero sapore acido dell’injerà;   gioiranno  leggendo le descrizioni delle allegre rincorse tra bambini  nei soleggiati cortili etiopi ed all’orecchio verrà concessa la totale quiete del silenzio del riposo pomeridiano.

Chi è nato o cresciuto in Africa ritroverà nel libro anche il galateo etiope, gli inchini rispettosi dei bambini  al cospetto degli autorevoli  genitori, la descrizione delle feste più significative e suggestive come il Maskal.
Coloro che, invece, non conoscono la storia del Paese famoso per il café di Harar,  scopriranno il talento e la lungimiranza del popolo etiope e della sua aristocrazia. Leggeranno di Ras, Negus, Negus Neghesti,  re dei re, imperatore, le  cui storie si sono  intersecate , in modo infausto, con quelle di Mussolini, Badoglio, Graziani,   Balbo.

La melmosa e carsica condotta della Società della Nazioni non ha gestito correttamente gli interventi  per scongiurare  l’invasione dell’Etiopia nel 1935, senza una dichiarazione di guerra da parte dell’Italia.
Essa infatti avrebbe dovuto diplomaticamente scongiurare l’aggressione dell’Italia ad un Paese membro della Società delle Nazioni cioè all’Etiopia poiché quest’ultima era già membro della Società delle Nazioni dal 1923, ben prima che lo divenisse l’Italia  nel 1937.

L’appartenenza dell’Etiopia alla Società delle Nazioni,  tanti anni prima dell’Italia dimostra quanto valida e lungimirante fosse la diplomazia di tale onorevole popolo etiope  che,  come la storia insegna,  fu anche precursore della nascita delle rappresentanze diplomatiche degli ambasciatori nel mondo.
L’augurio che mi nasce nel cuore al termine delle numerose riletture del libro è che tutte le nostre case possano essere come quella  del padre della Principessa Martha Nassibou dove (cito parole dal testo) “ la vita aveva il sapore della felicita “


Friday, July 04, 2014

Recensione di Mario Innocenti - Sole 24 Ore

"Tutto comincia come in una favola. La piccola Martha Nasibù possiede tutti i doni di una bambina la cui culla è rallegrata dalle buone fate.......

Martha Nasibù ci porta tra incantesimi e incubi, nel mondo dell'aristorazia etiopica degli anni Trenta....
è un libro che prende il lettore, alcuni passaggi hanno il segno della poesia..."





Thursday, July 03, 2014

Recensione di Alba Laura Arciello - Pensieri sul tuo libro

Harrar, Nostalgic Dreamland
di Martha Nassibou
"Un sogno dorato, di sete e aromi profumati, di risate argentine, dipalazzi imperiali avvolti da ombrose e fitte vegetazioni, tintinnii dicristalli e fruscii di abiti preziosi, la gioia intessuta nella trama disentimenti profondi, che uniscono una famiglia, nello scenario fantastico quanto reale, di una vita che non da spazio se non all'armonia dei rapporti umani e al profondo rispetto per la natura, aprezzando e vivendo consapevolmente il privilegio della propria condizione.

Uno schianto fragoroso!!! La guerra, terrificante e distruttiva. Non si può sprofondare nell'inferno senza bruciarsi, le ferite interiori sono indelebili. Come sopportare tutto questo senza odiare? Ce lo insegna una donna straordinaria attraverso il suo racconto, nel quale, nel bene e nel male, scende profondamente nell'umano, lasciando a sua volta una traccia indelebile nella nostra interiorità, perché quando un libro è scritto con il cuore e soprattutto palpita di verità, ognuno di noi, giunto all'ultima pagina, sente che dentro di sé qualcosa è cambiato, e ciò che sembra impossibile diventa realtà... il dolore con il tempo si può trasforma in amore.

Grazie Martha!

Con stima e affetto,

Alba Laura

Wednesday, July 02, 2014

Recensione di Gaudenzio Barbé - Corriere di Novara


"......uno dei più bei libri di ricordi che siano apparsi in quest ultimi anni...."




Tuesday, July 01, 2014

Recensione di Nello Ajello - La Repubblica



Presentazione del libro al Campidoglio, Roma

".....Una lettura interessante, come testimonia il fatto che, in breve tempo, quest' autobiografia (che viene oggi presentata a Roma, alle 17,30, nella sala della Protomoteca in Campidoglio) è già arrivata alla seconda edizione. Nel lungo esordio del suo libro l' autrice, riferisce episodi che non poté vivere in maniera cosciente, perché troppo piccola, e infatti informa il lettore  di essersi documentata con l' aiuto di sua madre. Il paesaggio, l' ambiente, i personaggi si sciolgono in una sorta di mimesi dell' infanzia. Ne risulta un quadro estatico, popolato dall' aristocrazia etiopica degli anni Trenta: i palazzi nei quali essa viveva, il sentore di privilegio che ne accompagnava atti, modi, linguaggio, frequentazioni. Di queste realtà, noi italiani non avevamo affatto sentore......"


Recensione di Nello Ajello - La Repubblica (pdf)